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MAD IN ITALY

Anche a distanza di mezzo secolo il ‘68 si presenta come un intreccio unico e forse irripetibile di lotta antimperialista e anticolonialista, di protesta studentesca contro la scuola classista e il modello culturale imposto, di spinta operaia contro la fabbrica fordista, di emergenza generazionale contro il costume, i rapporti familiari, le relazioni tra generi. Se in altri paesi la spinta sembra bruciarsi in un breve arco di tempo nel nostro paese assistiamo a un “68 lungo” in un esplodere e perdurare di quella che è stata definita “stagione dei movimenti”. 

Quello che gli storici della psichiatria chiamano “movimento per la deistituzionalizzazione” nasce in Italia prima del 1968, ma solamente in quel periodo può strutturarsi nell’incontro con una grande spinta di base. Il legame tra psichiatria e lotta di classe è del tutto naturale e l’opera rivoluzionaria di Basaglia dimostra quanto il tema della malattia mentale e della sua gestione tocchino direttamente i rapporti di potere e assumano una valenza politica preparando di fatto il ‘68 italiano che trova nel movimento per la chiusura dei manicomi un simbolo di cui si approprierà trasformandolo, in una “sua” battaglia, una battaglia degli anni settanta.

Nel ‘71 Franco Basaglia è nominato direttore dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste situato all’interno del Parco di San Giovanni, il comprensorio diventa il luogo dell’innovazione e del cambiamento: è qui, infatti, che si realizza una rivoluzione di portata internazionale nel campo della psichiatria. L’ospedale e il Parco si aprono alla città: i malati sono liberi di uscire e i cittadini di entrare. Il 24 gennaio del 1977 in una conferenza stampa Basaglia annuncerà ufficialmente la chiusura. 

Lo psichiatra classico, agli occhi di Basaglia, è uno strumento della paura collettiva, della ripugnanza e del fastidio dell’uomo sano per l’uomo “diverso”, che lo disturba comportandosi in modo incomprensibile. Col pretesto di curarlo, lo psichiatra è delegato a togliere di mezzo il disturbatore, a fungere da giudice, da gendarme, e da guardia di frontiera. Basta che formuli una diagnosi su un uomo “diverso” e costui è inscatolato, etichettato, reso oggetto. Tutte le sue azioni, da quel momento, sono viste come sintomi della malattia e possono essere usate contro di lui. La violenza è contenuta se il paziente ha danaro. In questo caso il disturbatore si contrappone al potere del medico con un suo potere economico che lo salva dall’essere completamente spersonalizzato ed escluso. Se non ha denaro, la violenza è completa.

L’opera di Basaglia riconsegna umanità a persone fatte di pensieri, parole ed emozioni e che una visione astratta della malattia aveva depersonificato.

La depersonalizzazione diventava così la cifra che Basaglia voleva scardinare restituendo ai sofferenti mentali la loro personalità, i malati smettevano di essere malati e tornavano ad essere persone, la restituzione dell'umanità come restituzione di queste persone alla vita.

I sofferenti mentali smettono di essere considerati malati, corpi “oggettificati” estranei alla società, ma tornano essere parte viva, pregnante, partecipativa di una società in trasformazione. La malattia quindi non come stato di esclusione, di estromissione della società, ma il disagio psicologico e la fragilità come parte di un'identità che cerca nelle difficoltà della sua vita la sua strada.

Da questa visione e grazie all’impegno di giovani psichiatri, folgorati dalle idee innovative di Basaglia come il dott. Peppe Dell’acqua, la dott.sa Giovanna Del Giudice, il dott. Franco Rotelli, oggi considerati gli eredi e custodi della rivoluzione basagliana, ma anche grazie al supporto di intellettuali, scrittori, cineasti, giornalisti, fotografi e artisti che dedicarono tempo e talento alla lotta per il cambiamento come, Giuliano Scabia , drammaturgo e scrittore italiano, uno degli ideatori della scultura e “macchina teatrale” che diventò il simbolo dell’ospedale psichiatrico di Trieste “Marco Cavallo”, viene approvata, quaranta anni fa, la legge 180. Norberto Bobbio l’ha definita l'unica grande riforma del dopoguerra ed è caratterizzata da un elemento che la rende unica, che resiste ancora oggi e cioè che siamo il solo paese al mondo che ha il divieto dell'istituzione del manicomio promuovendo una nuova concezione della salute e della dignità della persona malata di mente.

Della psichiatria triestina si parla in mezzo mondo. Il dipartimento di Trieste è oggi uno dei più importanti Centri Oms in Europa, leader per lo sviluppo della salute mentale comunitaria. Ogni anno migliaia gli operatori di tutto il mondo fanno sosta a Trieste, per capire come si fa a vivere senza il manicomio.

Nonostante questo ci sono ancora i morti di psichiatria, c'è un ritorno prepotente alle psichiatrie della pericolosità, dei trattamenti farmacologici, delle contenzioni e qualche politico, abituato al facile consenso fomentando le paure dei cittadini, parla apertamente di una revisione della legge 180.

Pierluigi Colombini, tramite il suo obbiettivo, prova a raccontare questi luoghi e le persone che oggi hanno preso il testimone lasciato da Basaglia. Attualmente il parco di San Giovanni ospita laboratori creativi, cooperative sociali, centri di formazione, università, Radio Fragola, uffici e servizi dell’azienda sanitaria oltre a tanti altri locali con diverse destinazioni d’uso.

Franco Basaglia ha fatto proprio quello che è il più importante insegnamento di quella grande stagione di partecipazione che è stato il ‘68, ovvero l'idea che lo stare insieme, l'essere parte di una comunità, essere soggetti partecipi di un comune cammino è ciò che trasforma, migliora, guarisce. Ovvero si guarisce solo e soltanto attraverso un percorso inclusivo e non esclusivo ed escludente.

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